Federico Bertolani's profile

Maria Stuarda 2012/2014 Bergamo - Rovigo - Verona



MARIA STUARDA
Regia Federico Bertolani
Scene Giulio Magnetto
Costumi Manuel Pedretti
Luci Claudio Schmid

NOTE REGIA
Un trono per due regine, un popolo per due guide, due religioni per una nazione ma soprattutto un uomo per due donne: la storia e la politica favoriscono Elisabatta ponendola sul trono d’Inghilterra, mentre Maria esiliata è segregata dalla cugina nel mezzo di una foresta lontana dai palazzi e dalla corte.
Forse un tempo le due cugine sarebbero potute essere l’una lo specchio dell’altra. Ma lo snodarsi della vita e gli eventi della Storia interferiscono nel gioco di rifrazioni rendendo l’immagine riflessa sempre più diversa.
A Schiller e poi a Donizetti poco importa degli antefatti politici e religiosi: quello che mettono in scena sono gli stati d’animo delle due donne nei giorni precedenti alla morte della Stuarda, le loro pulsioni, le loro debolezze, le loro ossessioni.
Un grande cubo nero domina lo spazio: altro non è che la prigione della cattolica. La struttura è sempre presente quasi a simboleggiare l’ossessione della regina, del resto non vi è momento in cui Elisabetta possa dimenticare l’esistenza di Maria. Il suo potere, il suo animo e addirittura le sue pulsioni amorose devono sempre confrontarsi con l’Altra. Maria è bella, è magnanima “alletta ogni anima, lusinga ogni desir” mentre lei, “l’empia figlia di Bolena”, deve esclusivamente seguire la ragion di Stato. Anche il sogno di un amore le è precluso, il conte Leincester spasima per la cugina in prigione e non per lei sul trono.
E se Elisabetta è giudicata da tutti, alla Stuarda invece è sin dall’inizio dell’opera tutto perdonato. Sintetizza bene lo storico della musica Piero Mioli: “assolta nella terza parte dal ministro divino, Maria è assolta dallo spettatore fin dalla sua comparsa”. Poco importano le colpe del passato, la regina in cattività appare come l’unica vera vittima della storia.
La galleria del palagio di Westminster diviene così uno spazio claustrofobico cupo dove la regina attorniata dalla corte vacilla fra l’esibizione sterile del suo potere, il dolore per il confronto e la rabbia per l’invidia. A poco infatti è servito rinchiudere l’altra Regina lontano nel mezzo della foresta di Forteringa o in uno spazio recondito della mente. Nel corso della vicenda Elisabetta è convinta e costretta ad affronrontare la sua ossessione ecco allora che il cubo si scompone in diverse cornici: al “nero” mondo della corte si contrappone il “bianco” mondo della Stuarda, prigione certo ma anche “mesto riposo” fino all’arrivo della rivale. L’incontro fra le due donne, non ha gli esiti sperati da Talbot e da Roberto, piuttosto diviene una sorta di scontro finale dove libretto e musica mostrano tutta la loro modernita. Improvvisamente la magnificenza e l’ariosità dell’opera lirica lasciano spazio ad atmosfere da dramma borghese, le due donne incuranti di ogni etichetta si affrontano, si insultano, soffrono e ruggiscono fino alle ultime battute che ben fanno presagire il tragico epilogo.
Le ultime scene si snodano velocemente. Il cubo, forma archetipica e qui agile macchina teatrale, si compone e si scompone per creare via via gli ambienti indicati dal libretto. All’immobilità e all’imponenza del primo atto si contrappone la mutevolezza la fludita, tutto è pronto per il martirio, la cattolica spavalda e sicura della redenzione, va verso la morte completamente succube del potere della cugina. Elisabetta ormai simbolo stesso del potere non è presente alla cerimonia ma a noi piace immaginarla sola e consapevole di quanto la sua vittoria sia l’inizio del regno di una grande regina ma anche della storia di una triste donna.
Tutto è compiuto: non c’è posto su un trono per due regine ma soprattutto non c’è posto per due donne nel cuore di un unico uomo.
FEDERICO BERTOLANI

Non delude lo spettacolo astratto e cupo nelle scene ma forte nei gesti, evocativi e rarefatti ma drammaticamente netti come il canto donizettiano, del regista Federico Bertolani
ANGELO FOLETTO – LA REPUBBLICA-

Bertolani prima ancora che due regine ha contrapposto due donne, ciascuna con il proprio bagaglio esistenziale destinato a trovare punti di conflittuale sovrapposizion, seguendo il rimpallo musicale e scenico. Alcuni gradini sono serviti a invertire ad hoc il gioco delle predominanze, in una tensione di forze contrapposte destinata ad allargare vieppiù l’angolo di oscillazione degli instabili equilibri fino allo sbilanciamento conclusivo, quando lo specchio divenuto corvino ha simboleggiato la scure della decapitazione […]” MARIA LUISA ABATE – WWW.TEATRO.ORG

“[…] Una nuova produzione creata da un team di giovani. Un allestimento lineare e bello, con un inizio leggermente enigmatico che poi invece è chiaro e di grande effetto. “
LUKAS FRANCESCHINI – WWW OPERALIBERA.NET

[…] Alla felicità del canto ha fatto riscontro la funzionalità della messainscena in cui funzionalità e allusione simbolica hanno giocato la loro parte. Il regista Federico Bertolani, ottimamente coadiuvato dallo scenografo Giulio Magnetto, ha puntato su un nero cubo centrale, pronto a scomporsi in bianchi eluminosi riquadri, sormontato da un alto trono. E dunque l’azione si è svolta secondo le inclinazioni e modi di un’immagine soprattutto mentale tra rispecchiamenti e simmetrie che le perfette luci di Claudio Smid hanno valorizzato. […]
SERGIO GARBATO – IL RESTO DEL CARLINO ED ROVIGO

“[…] Nella realizzazione del regista Federico Bertolani lo scontro di potere e d’amore tra le regine cugine si condensa in un grande cubo nero, oppressivo e incombente, che ingombra la scena dalle prime note alla fine. Un’idea vincente, carica di livore e freddezza metallica che giusto le dolcezze del canto della Stuarda e di alcuni superbi assoli concertanti attenuano. Accanto all’elemento architettonico c’è l’esplicito gioco di bianco e nero affidato ai rifiniti e incisivi costumi di Manuel Pedretti e alle luci di Claudio Schmidt. […]”
BERNARDINO ZAPPA – L’ECO DI BERGAMO
Maria Stuarda 2012/2014 Bergamo - Rovigo - Verona
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